Lettera alla "Voce"/Dal postfascismo alla difesa dei principi laici dello Stato democratico Fini? Merita la tessera ad honorem del Pri Abbiamo ricevuto la seguente lettera al direttore che volentieri pubblichiamo. Caro direttore, ho letto l’editoriale della "Voce" di martedì scorso. "Gianfranco è cambiato". Vengo da una famiglia azionista ed ebrea torinese impegnata in prima linea nella guerra antifascista. Capirà che non provo un’immediata simpatia per l’onorevole Fini. Però una cosa l’ho sempre avuta presente: Fini, per quanto possa essere stato parte del postfascismo italiano, non ha avuto nessun contatto con il regime di Mussolini e tanto meno con la Repubblica sociale. Beato lui, è molto più giovane rispetto ad un’epoca che io ho conosciuto invece bene. Fini non appartiene nemmeno alla leva dei giovani di Salò che, arruolati con le camice nere, si sono riscattati nella maturità aderendo alle formazioni o alle idee comuniste. Mi ricordo di aver letto che avrebbe aderito al Msi dopo aver visto "Berretti verdi" di John Wayne! Questo per dire che Fini non era un gerarca, né un figlio di gerarca, né un balilla, né niente aveva a che fare con coloro che, sostenuto il fascismo fino all’ultimo momento, si sono scoperti tutto d’un tratto antifascisti. Guardi, io che da bambina stavo nascosta in una cantina, avrei desiderato moltissimo essere una fascista come tanti altri, che poi, con la fine del fascismo, sono diventati antifascisti come me, costretta ad esserlo dalle mie origini famigliari. Avrei voluto un’infanzia più felice. Per questo mi è sempre stato difficile capire i "fascisti" di quando il fascismo è stato sconfitto. Chi riesce ad immaginarsi un regime fascista senza Mussolini? Erano senza speranza. Certo bisogna riconoscere a questi fascisti senza Mussolini e senza regime, almeno il pregio di non cercare particolare vantaggi nella società democratica del dopoguerra. Non è la stessa cosa per chi divenne comunista all’indomani della caduta del fascismo. Lì un regime c’era oltrecortina, altrettanto feroce e minaccioso, soprattutto nei confronti della nostra società occidentale. Aver sostenuto, difeso, nascosto i misfatti di quel regime - penso solo alle foibe - mi è sempre parsa cosa molto più grave di chi ne vagheggiava uno oramai irrealizzabile, per quanto ai miei occhi altrettanto ignobile. E’ chiaro infatti che io amo un paese in cui nessun bambino debba nascondersi in uno scantinato per sopravvivere. Fatta questa ampia premessa, di cui spero voglia scusarmi, desidero dire però che Fini mi era parso cambiato da molto tempo, almeno da quando fece la visita ad Auschwitz, lui che pure in quella tragedia non aveva nessuna parte. Evidentemente sentì un qualche dovere, quello che non hanno mai sentito i comunisti italiani di recarsi sulle tombe di Dubcek o di Nogy. Per questo ho smesso tempo fa di guardare a Fini come l’uomo nero; e la sua presidenza della Camera mi è parsa scelta più apprezzabile di quella di Luciano Violante. Ora io non so se sia l’uomo a fare la funzione o piuttosto la funzione a fare l’uomo, ma sono d’accordo con l’editoriale della "Voce" nel sostenere che Fini ha svolto il suo ruolo istituzionale in maniera ineccepibile. Egli rappresenta la presidenza di un braccio del Parlamento di uno Stato laico e democratico e sostiene le ragioni democratiche e laiche poste a base di questo Stato. E’ singolare che sul tema della bioetica qualcuno gli chieda di essere super partes. Visto che il presidente della Camera è super partes se le ragioni della laicità dello Stato e del rispetto della Costituzione - che il Parlamento tutela - sono fuori discussione. Purtroppo la legge sulla bioetica, al contrario, mette in questione proprio questi principi ed in particolare l’articolo 32 della nostra Costituzione. Nel caso il Parlamento l’approvasse così com’è, non vedo come sia evitabile un conflitto con il Capo dello Stato o con la Corte costituzionale, o con entrambi. Per questo ha ragione Fini a intervenire, anche e soprattutto in questo ambito. Ora vengo al punto. Capisco le differenze storiche e culturali che vi sono e che vi saranno fra voi, il partito che ho votato per tanti anni, e il presidente della Camera. Ma, se mi consente, da quel ruolo Fini ha ben rappresentato le vostre ragioni, e con più forza, vista la sua visibilità, e anche con coraggio, perché, come tutti gli osservatori gli dicono, non ha alle spalle un partito e si trova chiaramente isolato all’interno del suo. Per questo, come gesto di solidarietà nei confronti del presidente della Camera, e per fargli sapere che nelle sue battaglie sarà meno solo, mi permetto di suggerirvi di offrire a Fini una tessera ad honorem del Pri. Marianna Diena, Moncalieri - Torino |